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Gestione del burnout sul lavoro quando vivi all'estero

jeune homme stressé au travail
YuriArcursPeopleimages / Envato Elements
Scritto daAsaël Häzaqil 03 Settembre 2025

Il 27 maggio 2019 l'OMS ha riconosciuto ufficialmente il burnout come una "sindrome legata a stress lavorativo cronico mal gestito". Da allora i governi hanno provato, con risultati alterni, a migliorare le risposte al problema. Chi lavora all'estero cosa può aspettarsi? E che tipo di supporto ottiene chi soffre di burnout?

Il "burn out" durante l'espatrio esiste davvero?

Negli ultimi anni si sente parlare sempre più spesso di expat burnout. Chi ne soffre lo descrive come uno stato di stress continuo legato a carichi di lavoro eccessivi, che provoca stanchezza fisica ed emotiva, difficoltà di concentrazione e calo di produttività.

Questa descrizione, però, coincide in gran parte con quella del burnout tradizionale. A rendere particolare l'esperienza degli espatriati, secondo chi ne sostiene l'esistenza, sarebbe lo stress aggiuntivo del vivere all'estero: sentirsi fuori fase, dover continuamente adattarsi a una cultura diversa, convivere con il senso di colpa di non essere all'altezza delle aspettative.

Così, quella che dovrebbe essere un'avventura entusiasmante può trasformarsi in una fonte di ansia quotidiana. Ma anche questo aspetto richiama molto da vicino ciò che gli psicologi definiscono shock culturale.

Come viene gestito il burnout nei vari Paesi?

A differenza della depressione, il burnout non è ancora ufficialmente riconosciuto dall'OMS come una malattia. Alcuni esperti ritengono che dovrebbe esserlo, soprattutto perché può facilmente degenerare in depressione. Nel 2022 l'OMS ha comunque compiuto un primo passo, definendolo una "diagnosi medica legittima". Ma cosa significa davvero nella pratica? E in che modo i vari Paesi lo affrontano?

Spagna

Uno studio del 2025, condotto dall'operatore telefonico Ringover, ha rilevato che il 76% dei lavoratori spagnoli dichiara di aver sperimentato sintomi di burnout. A Barcellona, una delle mete più amate dagli espatriati, la vita non è sempre entusiasmante come appare: molti lavoratori stranieri raccontano di datori di lavoro esigenti e di frequenti incomprensioni con i colleghi. Secondo loro, la Spagna non affronta ancora il burnout con la dovuta serietà. Le risposte mediche si limitano a congedi per malattia e prescrizione di farmaci, senza un vero dibattito pubblico.

Nel 2024 il Ministero della Salute spagnolo ha annunciato l'intenzione di monitorare i problemi di salute mentale legati al lavoro all'interno del sistema nazionale di sorveglianza epidemiologica. Tra i temi di ricerca figurano il rapporto tra precarietà lavorativa, immigrazione e burnout. I primi dati indicano che le donne espatriate risultano particolarmente colpite.

Nel frattempo, anche il sistema sanitario spagnolo deve fare i conti con il burnout. Dopo la pandemia il problema si è acuito: molti operatori sanitari denunciano tagli al budget e chiedono maggiori risorse, anche per affrontare più efficacemente questo fenomeno.

Francia

Secondo il rapporto Forum of Future del 2023, Francia e Regno Unito registrano i tassi di burnout più elevati in Europa. In Francia sono già state avviate alcune misure: l'Autorità Sanitaria Nazionale ha pubblicato una scheda di orientamento per facilitare l'individuazione dei lavoratori colpiti e fornire loro supporto.

L'approccio francese al burnout unisce due dimensioni: il trattamento medico e il riconoscimento del contesto socio-professionale che ne costituisce la causa. Il percorso terapeutico parte di solito dal medico di base, che può prescrivere un periodo di malattia; nei casi più complessi entra in gioco uno psichiatra.

Le terapie previste includono spesso approcci non farmacologici, come la psicoterapia o pratiche mente–corpo, seguite da psicologi, psichiatri o psicoanalisti. I farmaci vengono prescritti solo in presenza di patologie correlate, come la depressione. I lavoratori ricevono inoltre supporto nelle pratiche amministrative, ad esempio per richiedere un adattamento del ruolo o per essere indirizzati a specialisti del benessere aziendale.

Svezia

Lavorare in Svezia viene spesso associato a un buon equilibrio tra vita privata e lavoro, proprio come in Finlandia, Danimarca e Norvegia. Eppure anche qui esiste il burnout: l'Agenzia di Assicurazione Sociale svedese registra ogni anno circa 20.000 casi. Un congedo per malattia su sei è legato a problemi psichiatrici, e chi soffre di burnout si assenta, in media, per due settimane.

La Svezia è uno dei pochi Paesi ad aver riconosciuto ufficialmente il burnout come sindrome, ma questo riconoscimento terminerà nel 2028 per adeguarsi alle classificazioni dell'OMS. Gli specialisti temono che la decisione possa indebolire la risposta, poiché il burnout viene spesso trattato in modo superficiale nonostante le sue molteplici cause. Per questo gli esperti chiedono un approccio più ampio: maggiore prevenzione nei luoghi di lavoro, cure più complete e una gestione che consideri seriamente la salute mentale dei lavoratori.

Stati Uniti

Dalla pandemia in poi, negli Stati Uniti si è diffusa l'idea del mental health leave. Nel 2021 aziende come Mozilla, LinkedIn e Bumble lo hanno inserito nei propri programmi. A differenza del congedo per malattia, il mental health leave non viene prescritto da un medico per trattare il burnout, ma consiste in alcuni giorni concessi ai dipendenti per staccare e ricaricarsi prima di arrivare al punto di rottura. La spinta è soprattutto economica: il burnout costa ogni anno oltre 5 milioni di dollari alle aziende americane con più di mille dipendenti.

Resta però un'iniziativa limitata a livello aziendale, non un programma federale. E molte domande restano aperte: deve essere riservata solo a chi è già in difficoltà o anche a chi, pur stando bene, sente il bisogno di una pausa? È necessario un certificato medico per richiederla?

A livello federale, negli Stati Uniti non esiste un congedo specifico per la salute mentale. I lavoratori possono però accedere ad alcune forme di supporto tramite un portale governativo o attraverso il Family and Medical Leave Act (FMLA).

Il Family and Medical Leave Act (FMLA) riconosce ai dipendenti aventi diritto fino a 12 settimane di congedo non retribuito all'anno in caso di una grave condizione di salute — fisica o mentale — che impedisca di svolgere le mansioni essenziali del lavoro. Il congedo assicura la conservazione del posto, ma non dello stipendio.

Cina

In Cina i lavoratori più giovani e chi cerca occupazione hanno iniziato a reagire al sistema. Il congedo per malattia esiste, ma non c'è un riconoscimento specifico del burnout. Nel 2024 Yu Donglai, fondatore della catena Pang Dong Lai, ha introdotto il cosiddetto unhappy leave: fino a 40 giorni l'anno di assenza dal lavoro senza bisogno di certificato medico, semplicemente se ci si sente infelici. L'iniziativa è stata accolta online come una rottura coraggiosa con la cultura lavorativa tradizionale, anche se alcuni dubitano che possa essere estesa a tutti i settori. La proposta mette in evidenza problemi più profondi della cultura del lavoro cinese, in particolare il famigerato orario “996” (dalle 9 del mattino alle 9 di sera, sei giorni su sette).

Dopo aver sofferto di depressione, il dirigente Li Jianxiong ha lasciato un lavoro ad alta pressione, ha viaggiato e in seguito è rientrato in Cina per fondare Heartify, un gruppo di sostegno per chi sperimenta il burnout. L'iniziativa punta a colmare l'assenza di istituzioni pubbliche dedicate alla salute mentale. Dopo il COVID la sfiducia verso queste istituzioni è aumentata, soprattutto tra i giovani. Il disincanto è particolarmente forte nella Generazione Z: alcuni scelgono una strada radicale, abbandonando del tutto il mercato del lavoro per evitare il burnout. Rifiutano apertamente il sistema 996 e rivendicano la libertà di non lavorare. Gli esperti avvertono che questo è un campanello d'allarme da non sottovalutare.

Espatrio e burn-out 

I medici concordano: il semplice congedo per malattia non è sufficiente. Eppure in molti Paesi questa continua a essere la risposta principale. Restare a casa tre giorni, o anche due settimane, difficilmente porta a una vera guarigione. Il burnout richiede un'assistenza completa che affronti le radici del problema sul posto di lavoro: consulti con i medici del lavoro, valutazioni delle condizioni professionali e, se necessario, adattamenti delle mansioni. È un approccio che combina competenze diverse. Le risposte, però, variano in base alle leggi sul lavoro, agli obblighi dei datori di lavoro, ai sistemi sanitari e agli atteggiamenti culturali verso la salute mentale. In alcuni contesti il burnout rimane un tabù, in altri viene affrontato con maggiore trasparenza. Gli espatriati, comunque, sono oggi più consapevoli dei rischi e più informati sul burnout rispetto al passato.

Consigli per prevenire il sovraccarico di lavoro

Gli straordinari possono andare bene, ma solo entro i limiti stabiliti dalle leggi locali sul lavoro.

Lavorare da casa non significa superare l'orario previsto dal contratto.

Anche se non sempre riconosciuto per legge, il diritto alla disconnessione esiste.

Nessun dipendente può fare tutto da solo: saper delegare è fondamentale. 

i lavoratori hanno il diritto di rifiutare incarichi impossibili da completare nei tempi assegnati.

Mantenere un equilibrio tra lavoro e vita privata è essenziale.

Coltivare passioni e hobby personali aiuta a proteggere la salute mentale.

Fonti:

Lavoro
A proposito di

Asaël Häzaq, web editor specializzato in notizie politiche e socioeconomiche, osserva e decifra le tendenze dell'economia internazionale. Grazie alla sua esperienza come espatriata in Giappone, offre consigli e analisi sulla vita da espatriato: scelta del visto, studi, ricerca di lavoro, vita lavorativa, apprendimento della lingua, scoperta del Paese. Titolare di un Master II in Giurisprudenza - Scienze Politiche, ha sperimentato anche la vita da nomade digitale.

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